di Antonio Ambrosio
Dopo un anno ritornare alla Taverna del Mozzo è stato avvincente come scoprire che il non più mozzo Davide Mea, nel tempo trascorso dall’ultima visita, abbia intrapreso un nuovo viaggio con il risultato della conquista di un menù esplorato, sempre devoto al mare ed alla vicina terra natale.
Posto dinanzi allo specchio, specchio recuperato da quel suo legame profondo con la nonna, di riflesso, si scorge nello sguardo di questo ragazzo una soddisfazione mista al sorriso. A pranzo concluso avremo poi potuto capire il perché di quello stato e del perché Davide umilmente si congedava rifugiandosi nella sua cabina di comando.
I benvenuti alla Taverna del Mozzo sono composti da bollicine. Di notevole interesse è stato bere il Franciacorta Brut Doppio Erre Di della cantina Derbusco Cives.
Spumeggiante, dalle note fresche, fruttato e con carattere deciso, che servito alla temperatura giusta costituisce un buon brindisi di inizio.
Si è così passati agli assaggi. Il gioco di scomposizione innescato con una fresella –appunto- scomposta con la sovrapposizione simpatica della mozzarella nella mortella accompagnata dall’alice di Menaica stupisce in bontà. L’incontro con sapori (apparentemente) opposti potrebbe spaventare chi senza conoscere il territorio si lascia andare ad un azzardo. La scomposizione delle certezze può giovare in un cambiamento inteso quale miglioramento. Il miscelare le diverse posizioni, con le dovute porzioni, determina un grado di evoluzione che non sempre ha necessità di essere ostentato.
Pochi gli ingredienti amalgamati in una consistenza dai sapori bilanciati in cui si scova una certa semplicità che a tratti smussa le esagerazioni. Il polpo nel suo post cottura rappresenta, insieme con una crema di fagioli ed impreziosito da un simpatico decoro cromatico, il chiaro esempio di un lavoro efficace sull’impiattamento volto ad eliminare gli eccessi e riproporre sotto una nuova luce le conquiste passate, che giova soprattutto all’esaltazione delle materie prime presentate.
Ciò si esprime ancor di più nel tortino di alici ripieno di scarole e olive ammaccate (altra tipicità di questa terra) contraddistinto e segnato ai lati da una crema di peperoni rossi. Una curva di sapori coinvolgente, dalla visione sgombra da estremismi eccentrici e concentrata ancora una volta sull’essenza del piatto.
Davide si è dotato di umiltà e ha portato fuori un talento: mostrare e non dimostrare, sorprendere senza strafare. Lo esprime ancora di più nel primo piatto composto da Spaghettoni di Nola con stracciata di bufala ed alici di Menaica, a conferma che qualcosa è cambiato. Si avverte una certa maturità che annuncia l’impossibilità di tornare indietro, non per paura di perdere la meta raggiunta, ma perché quando si conquistano nuovi confini difficilmente ci si lascia cadere in ripetizioni. La maracucciata, di cui Davide è uno dei custodi, con il pescato di cernia del mare di Camerota, costituisce la summa di quanto riscontrato con i diversi assaggi raccontati.
Se i benvenuti sono spumeggianti anche i finali sono esplosioni di emozioni. Sembra quasi che il gusto sia proprio nel non voler smettere di incantare ed ecco che l’arrivo delle gelatine di frutta e poi il dolce di ricotta di bufala stretta tra una nocepesca ed un biscotto, bombardano le resistenze, conquistando la gioia dei complimenti con l’invito a non smettere di investire su quella rotta e con l’augurio chissà di apporre quanto prima una medaglia sulla nuova divisa di capitano.
In questo viaggio è stato bello ritrovare ancora una volta un Davide in crescita, auguri Capitano.