Nasce il “pizzo” sano: il pomodoro coltivato in un terreno confiscato alla camorra

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Sboccia un fiore nel deserto della camorra. Nel terreno del boss rinasce il pomodoro dimenticato.
Da arido ammasso di sterpaglie a regno delle “eccellenze” campane. Da simbolo del dominio dei clan a laboratorio per sperimentare idee e coltivazioni. Perché anche dal deserto della camorra, dopo tutto, può nascere un fiore. Succede a Ercolano, per la precisione in via Caprile, nel cuore di cemento della città degli scavi archeologici e del Vesuvio. Un anno fa il Consorzio Sole, l’organizzazione che gestisce i beni confiscati alle mafie in provincia di Napoli, ha affidato un’area incolta di circa un ettaro alla cooperativa “Giancarlo Siani”, il gruppo di giovani che ad Ercolano gestisce – nella casa confiscata al boss Giovanni Birra – la web radio che porta avanti il nome e la memoria del giornalista ucciso dalla camorra nel 1985. Anche quel terreno denso di sterpaglie è dei Birra, l’ultima roccaforte di un clan distrutto, in questi anni, da inchieste, sequestri e condanne. Trasformare quella selva oscura in un simbolo della rinascita sociale della città-anticamorra sembrava impossibile. Ma il coraggio dei volontari e degli amici della coop supera anche la fatica e nel giro di qualche mese succede l’incredibile. Da quel terreno inerte sboccia un fiore, o meglio un pomodoro. Non è la “solita salsa”. E’ un frutto dimenticato, una coltivazione figlia del binomio, sempre vincente, tra “qualità e legalità”. Si chiama Piennolo Riccia San Vito, o anche Riccia 7 ed è una varietà abbastanza rara del piennolo, il pomodoro col pizzo del Vesuvio. Un piccolo miracolo che si abbina con vongole e spaghetti, figlio della “filiera della legalità” piantata con forza tra i campi di quell’ex regno della camorra. A sceglierlo, perché le eccellenze e le bellezze nascono dalla selezione e dalla cura dei particolari, è stata Patrizia Spingo, fiduciaria di Slow Food Vesuvio e ricercatrice della Coop Arca 2010 che collabora anche con il Centro Nazionale della Ricerca, sede della banca del germoplasma dei prodotti “tipici” campani. Patrizia ha suggerito – anche in base alla morfologia del terreno – ai ragazzi della coop di puntare su R7, la varietà che meglio si adatta a questa area. Già dal primo raccolto i risultati sono stati positivi in termini di qualità dei pomodorini, molto saporiti e dalle caratteristiche tipiche che li rendono così speciali: sodi, dalla buccia resistente, ricchi di sali minerali dovuti al suolo vulcanico e capaci di “resistere” freschi a lungo, dal tempo della raccolta che avviene a luglio – agosto fino almeno al mese di febbraio. Il piennolo rinato, anche grazie all’aiuto e ai suggerimenti dei docenti del Dipartimento di Agronomia e Coltivazioni erbacee della Facoltà di Agraria dell’Università Federico II di Napoli, Massimo Fagnano e Mauro Mori, diventa il “pizzino vesuviano, il pizzo sano”, il marchio scelto dai ragazzi della cooperativa per raccontare la resurrezione della città anti-pizzo e anche per riconsegnare ad Ercolano, e non solo, quelle parole che nell’immaginario collettivo appartengono unicamente al vocabolario delle mafie. Anche grazie ai consigli e ai suggerimenti della giornalista enogastronomica Marina Alaimo e dell’agricoltore Angelo di Giacomo dell’azienda agricola “Giolì”, il “pizzino vesuviano, il pizzo sano” finisce in tavola e sulle pizze grazie alla pizzeria “Le Parule” di Giuseppe Pignalosa e al ristorante “Viva Lo Re” di Maurizio Focone. Un sogno che diventa realtà con l’aiuto di alcuni commercianti dell’associazione anti-racket, gli imprenditori eroi ai quali Ercolano deve la sua rinascita, grazie all’ufficio tecnico del Comune di Ercolano e al Consorzio Sole che ha creduto in quel piccolo miracolo.
Perché anche dal deserto della camorra può nascere un fiore. O meglio ancora una “pummarola”. E che pummarola!

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