A chi, come me, intende il giornalismo come resistenza civile, non piacerebbe mai leggere alcune notizie. Mi riferisco alla bomba che ha provocato danni alla sede storica della pizzeria di Gino Sorbillo, nel quartiere Tribunali a Napoli. Subito, il mio spirito mai sopito di cronista si è riacceso come se non fossero mai passati 24 anni dalla prima intervista.
Il web è stato letteralmente invaso. Parallelamente sono giunti numerosi attestati di stima, solidarietà, al pizzaiolo napoletano, ambasciatore della pizza in tutto il mondo.
Sì, perché Gino è uno che ci mette la faccia. Tutti i giorni. In televisione, in bottega, in pubblici incontri. Al di là del motivo che ha spinto dei delinquenti a provare a intimidire chi crede e promuove il riscatto di Napoli e della Campania attraverso la promozione delle sue varie bellezze, la scelta di ricorrere a un segnale così eclatante rappresenta un’ammissione di debolezza.
La spiegazione è a portata di mano. Attività come quelle di Sorbillo, quotidianamente richiamano migliaia di turisti che non esitano a fare anche qualche ora di fila per gustare la vera pizza napoletana. Di conseguenza, la zona è sempre sotto i riflettori. La gente attende all’aperto, occupa il passaggio stradale. A pranzo come a cena c’è troppa gente. I golosi, i curiosi, gli appassionati di food non sanno che solo scegliendo di mangiare una pizza rappresentano una forma di controllo sociale perché inibiscono e ostacolano indirettamente i traffici di chi, al contrario di Gino e tanti altri imprenditori virtuosi napoletani, in quei vicoli, nei viottoli deve delinquere per garantirsi il proprio pane quotidiano.
Gino Sorbillo tutto questo lo sa perciò anche dopo la bomba non ha mai preso in considerazione l’idea di lasciare Napoli perché significherebbe darla vinta a chi fa comodo avere un’ex capitale percepita universalmente degradata.
Pagani, 17 gennaio 2019