Lo confesso. Non ero mai stata a “Casa del Nonno 13”. Non si era mai presentata l’occasione.
Finalmente, ci sono stata. Il merito è del nuovo chef: Alberto Annarumma. Paganese, prima di giungere a Mercato San Severino, ha lavorato nei locali più prestigiosi della Costiera Amalfitana.
Prima di conoscerlo direttamente, ne avevo sentito parlare. Sebbene dello stesso paese, non ci eravamo mai incontrati. Nell’ultimo anno però un amico comune ha incominciato a parlare sempre di Alberto. Mi sono incuriosita. Così, adesso non ricordo più neanche come, mi sono ritrovata in questo luogo molto suggestivo.
La frazione Sant’Eustachio è un piccolo borgo silenzioso.
Quando varchi la soglia del locale ti ritrovi in un luogo senza tempo. Personalmente sono stata catapultata negli anni della mia infanzia quando era un giorno di festa poter accedere alla cantina in tufo dei miei nonni.
D’altronde è inutile nascondersi. Lo spirito contadino è insito negli abitanti della Campania Felix. Con un po’ di maieutica fuoriesce subito.
“Casa del Nonno 13” fa pensare alle ambientazioni dei racconti del focolare al cospetto del quale ci si dedicava al culto dei rapporti umani, oggi un po’ persi di vista.
Mi accoglie Pasquale Marzano, un direttore di sala preparato, capace, cortese. Con lui c’è anche Flaviano Giorgio, giovane, ma che già promette bene.
Mi accomodo e subito arriva Alberto a salutarmi. Parliamo un po’. Scambiamo qualche idea.
È uno chef di carattere. Come mio solito, per la degustazione decido di affidarmi alle sue scelte. Invece?
Invece, “sono costretta” a decidere cosa assaggiare.
Il menu è davvero interessante, molto rinnovato rispetto a quello presente prima del suo arrivo. Certo, i “classici” di “Casa del Nonno 13” ci sono sempre.
Si sa, lo chef quando arriva in un posto porta con sé tutte le sue esperienze e la sua ideologia, quello che gli americani adorano chiamare “background”. Alberto Annarumma, da questo punto di vista, è molto preparato.
Prima di arrivare in cucina, lo incontri che fa il giro dei fornitori per scegliere i prodotti giusti della giornata. Un paio di minuti bastano per capire che è anche un bravo organizzatore.
La degustazione ha inizio con il benvenuto: gyoza,
croccante di baccalà con salsa al limone,
arancini al nero di seppia e piselli,
pancetta di agnello di Laticauda con scarola liquida e polvere di carboni vegetali,
burro di bufala aromatizzato alle acciughe di Cetara,
chiacchiere salate.
Cattura l’attenzione la presenza del gyoza, un piatto tipico della cucina giapponese che ad Alberto piace molto. Infatti in ogni pietanza si ritrova almeno un ingrediente della tradizione nipponica come per gli antipasti: gamberi rossi di Mazara, insalatina primaverile, mango, wasabi e cipolla rossa;
polpo fritto, peperoncino e scalogno, salsa agrodolce (infuso di karkadè).
Molto interessanti le linguine aglio, olio e peperoncino rivisitate con zenzero e fonduta di Carmasciano.
Siccome ho un debole per il riso, non resisto a quello acquerello con limone, yogurt di bufala, scampi di Sicilia a crudo.
Quella di Alberto è una cucina ricercata nel senso che ha una predilezione per la selezione dell’ingrediente migliore e giusto.
Lo confermano i secondi: il maiale iberico laccato al Merlot e soia, zucca, mela annurca
e il tonno rosso croccante, tapioca, cetriolo, mayo di miso, salsa di ostriche, katsuobushi.
Come se non bastasse, tocca scegliere anche il dolce,
ma si parte col predessert: il tiramisù allo zenzero.
Negli ultimi tempi, il dolce è un aspetto molto curato nei ristoranti medio-alti. Non è casuale perché, in alcuni casi, il ricordo della piacevolezza di un pranzo o di una cena può essere compromesso dalla pasticceria.
Il cremaux di lamponi, sbrisolona di mais, pan di Spagna allo yogurt e gelato alle nocciole salate
e il crumble alla fava di Tonka, cremoso al caffè, spuma e gelato al cioccolato
confermano sapienza gastronomica e attenzione al particolare come la piccola pasticceria.
Fondamentali anche i vini abbinati che hanno valorizzato ulteriormente la cena: Chardonnay Cuvée Bois Les Crétes 2014, Terre Alte Felluga 2013, Zingarella Masseria Parisi.
Non so che dire! Ogni volta che mi imbatto in persone fortemente motivate per il proprio lavoro rafforzo sempre di più una mia antica convinzione: “Partire è più facile che restare”.
Per questo motivo, chi dimostra l’attaccamento alle radici è in realtà una persona che continua a credere nei propri sogni. In ogni luogo si può essere cittadini del mondo.